È del 18 gennaio la notizia di una studentessa di 12 anni che ha tentanto di togliersi la vita, gettandosi dal secondo piano della propria abitazione, lasciando un biglietto rivolto ai compagni di scuola, cui rivolgeva la frase “Adesso sarete contenti”. Alcuni genitori hanno chiesto al nostro Angolo dello Psicologo di affrontare il tema del bullismo. Ecco le riflessioni in merito della psicologa e psicoterapeuta Elisa Accornero dello Studio Adelaide.

Credo che nella mente di ogni genitore si inneschi automaticamente una serie di domande, rivolte prima di tutto a trovare un senso ad un fatto del genere, delle motivazioni, dei responsabili, degli strumenti di prevenzione.
Il suicidio di un ragazzo/a è quanto di più impensabile e sconcertante per un adulto, soprattutto se genitore: la reazione a caldo di ognuno di noi è di angoscia, dolore, rabbia. Anche perché ognuno di noi, ancor prima che padre o madre, è stato ragazzino, ognuno di noi, in misura maggiore o minore, conosce le insicurezze e le paure di un’età in cui cambia il corpo, in cui non sappiamo cosa diventeremo, non sappiamo se verremo accettati, non siamo così sicuri di essere “normali”, “come gli altri”, e il fantasma di una inspiegabile esclusione si insinua ogni volta che due compagni/e parlano tra loro…
Ognuno di noi è stato, credo, almeno una volta preso in giro dai coetanei per un difetto, per un vestito, per il nome, per il cognome, per un voto brutto, per un voto troppo bello… Ognuno di noi sa cosa si prova ad essere ripresi da un insegnante, ad essere umiliati nell’ora di ginnastica, piuttosto che di matematica. Credo che nessuno, anche il più sicuro di sé, sia totalmente immune all’insicurezza; in base alla personalità, alle esperienze di vita, alla famiglia e alla rete sociale, si possono adottare soluzioni più o meno efficaci per fronteggiare le proprie fragilità, ma il punto è, che tutti noi abbiamo una piccola parte più o meno nascosta che sa identificarsi con quella ragazzina di 12 anni.
Ognuno di noi si sente ragionevolmente sconcertato quando viene a sapere fino a che punto queste dinamiche possono ancora far male, senza che nessuno se ne accorga per tempo.
Ogni genitore vorrebbe sapere che il proprio figlio è al sicuro; le mamme e i papà vorrebbero sentire di fare la cosa giusta, di avere il controllo sulla situazione, e sono proprio questi fatti di cronaca che bruscamente ci fanno vacillare.
Eppure il genitore di un figlio pre-adolescente o adolescente sa anche che arriva un punto in cui non si può avere il controllo su tutto, che occorre fare i conti e accettare la porta chiusa della cameretta, whatsapp, una mezza risposta evasiva alla domanda “Com’è andata oggi”? E allora si spera che vada tutto bene, finché un evento di cronaca come questo ci dà un pugno nello stomaco; il dolore si trasforma in rabbia, la paura di non avere il controllo degli eventi diventa spesso una caccia alle streghe in cui cerchiamo disperatamente “di chi è la colpa”… degli insegnanti? Dei dirigenti scolastici? Dei servizi sociali? Degli altri genitori?
Il bullismo è certamente un fenomeno che coinvolge dinamiche relazionali complesse e l’istituzione scolastica ha indubbiamente una grossa parte. Personalmente ritengo che famiglie e istituzione scolastica debbano accettare la sfida di una vera collaborazione costruttiva, in cui l’accento sta sull’inclusione reciproca e non sullo scarico di responsabilità. Purtroppo credo vi sia una tendenza ad una certa impulsività nelle relazioni, in cui spesso, nei rapporti tra scuola e famiglie, si arriva in men che non si dica ad accuse reciproche e malumori insanabili, che portano spesso ad un burn-out dell’ambiente educativo popolato di immediate stereotipizzazioni (bambini ingestibili, maestre incapaci, mamme ansiose, papà assenti, ecc. ecc. ecc.), che bloccano il pensiero costruttivo e la possibilità di un progetto comune. Credo che ogni genitore, ogni insegnante, ogni dirigente, debba assumersi la responsabilità di provare a muoversi nei confronti degli altri in un’ottica inclusiva, pacata e onesta, e che già questo possa contribuire a creare un clima emotivo di esempio per i bambini: l’atmosfera emotiva in cui un bambino vive viene assimilata tanto quanto il cibo che gli diamo, e un rapporto di rispetto e collaborazione tra famiglie e scuola non può che costituire un invito in tal senso anche per i bambini.
Una certa logica, che si ritrova ovunque, al volante, facendo la coda in Posta piuttosto che su Facebook, ci porta ad agire come se dovessimo aggredire l’altro preventivamente, per non farci fregare, perché buono sì ma scemo no, perché se io urlo è colpa tua che mi hai fatto arrabbiare, perché mi stai facendo perdere tempo, ecc ecc… una logica dell’homo homini lupus che ci trasforma tutti in cacciatori metropolitani, costantemente stressati. Proviamo, per un giorno, a depurarci da queste modalità che ormai intervengono in automatico, che diamo per scontate; proviamo a sganciarci da questo piano, a parlare un altro linguaggio, rendiamoci consapevoli che le emozioni vanno accettate e non hanno colpa, ma i comportamenti li possiamo scegliere: la rabbia, il cuore che accelera, la vampata di calore, sono reazioni fisiologiche e istintuali a certi stimoli, ma il menu dei comportamenti è nelle nostre mani. Proviamo a spezzare certi circoli viziosi partendo dalla nostra quotidianità, e vediamo cosa succede.
È comprensibile che si mantenga uno sguardo sul contesto sociale in cui si vive; quello che mi sento di proporre è tuttavia di fare un po’ il focus su cosa può fare ognuno di noi nella propria pelle, nella propria casa, coi propri bambini.
Subire bullismo è un evento, spesso ripetuto, che comporta sicuramente degli elementi traumatici: chi subisce un trauma ha bisogno in primo luogo di non sentirsi solo, di trovare qualcuno che gli creda e che accolga tutto il dolore che si porta con sè.
Pensiamo ad altre situazioni in cui una persona vive una sopraffazione, come uno stupro, una violenza familiare, il mobbing sul lavoro: spesso la prima reazione è un lungo periodo in cui chi subisce violenza si chiude in se stesso, si vergogna, teme il giudizio o la vendetta minacciata dall’aggressore; spesso nella dinamica relazionale tra il carnefice e la vittima c’è la richiesta di mantenere il segreto, con la minaccia di ripercussioni se la vittima denuncia i fatti.
Chi subisce bullismo non sfugge a questi meccanismi, per cui ritengo che un primo fattore di protezione, che i genitori possono attivare, sia lo sforzo di creare uno spazio familiare in cui i bambini/ragazzi si sentano liberi di parlare di ciò che accade loro, di esprimere ciò che sentono o vivono senza paura che questo venga minimizzato o giudicato.
Per i genitori i figli vengono prima di tutto: forse talvolta diamo per scontato che i figli lo sappiano. Spesso certe cose si comprendono quando si diventa genitori a propria volta.
Non è superfluo, a mio parere, rimarcare ai nostri figli che, anche se li sgridiamo, anche se alle volte siamo nervosi, tra le pareti di casa c’è un nido in cui potranno sempre sentirsi protetti. Non per creare in loro la paura del mondo, non per tenerli oltremodo legati alla famiglia, ma per dar loro la certezza di una base sicura, in cui verranno sempre ascoltati e compresi, qualunque cosa accada.
Quando un figlio ha un problema spesso i genitori si fanno in quattro per trovare immediatamente la soluzione; la sollecitudine genitoriale è protettiva e sana, ma purtroppo alle volte, quando il problema spaventa gli adulti, l’impulsività di trovare una soluzione prende il sopravvento sull’ascoltare cosa ne pensano i ragazzi, sul condividere come stanno vivendo.. la paura di non avere il controllo porta a cercare soluzioni immediate, a evitare il problema o a ingigantirlo, per eliminarlo il più velocemente possibile. Spesso mi sento dire dai bambini che seguo “Non dirlo alla mamma se no si agita”, “Non dirlo alla mamma se no lo dice alla maestra..”: la mia risposta è per lo più “la mamma lo deve sapere perché nessuno ti vuole più bene di lei”, ma mi rendo conto della necessità talvolta di aiutare le mamme e i papà ad ascoltare, a lasciar maturare i pensieri, prima di andare nel panico di risolvere il problema.
Mi rendo conto che subire bullismo è un grosso problema, che necessita interventi repentini; ma credo che si debba lavorare a porre le basi di un dialogo sereno quando si è in pace, e non in emergenza… è meglio interrogarsi su come trovare una posizione che faciliti e aiuti i figli a confidarsi con noi, piuttosto che correre ai ripari quando temiamo che qualcosa di importante ci sfugga.
Credo anche che un buon esercizio a tale scopo, da intraprendere anche quando i bambini sono più piccoli, sia osservarli e giocare con loro. Moltissimi genitori, durante le consultazioni, mi dicono che non sanno giocare, o che la sera sono troppo stanchi per pensare di giocare coi figli: la mia risposta è che giocare è la normale attività mentale dei bambini, che viene naturale quanto il parlare, per cui non è necessario che un adulto sappia giocare, è sufficiente che si sieda a terra con il bambino e faccia ciò che lui gli chiede. Che alle volte ci si annoi, può essere; ma quante volte guardiamo un programma TV anche se è noioso? Credo che sia una fatica che val la pena sopportare. Ascoltiamo i dialoghi che i bambini propongono nelle storie che fanno quando giocano, proponiamo loro di giocare alla scuola, lasciamo che ci facciano essere alunni e che loro siano le maestre, pensiamo a come ci fanno sentire quando ci mettono nei loro panni.. e ipotizziamo che così si sentano loro. Non rinunciamo a stupirli chiedendo loro “ti va di giocare un po’?”, concediamoci di ripetere quelle parole che dicevamo sempre da piccoli, “Facciamo che tu eri… e io ero..”.
Se un adulto non ha paura di regredire un poco, di mostrarsi anche goffo di ridere insieme ai suoi piccoli, scoprirà quanto i bambini si sentono orgogliosi che mamma e papà si divertano con loro.
Quanto ci sentiamo importanti, anche da adulti, quando capiamo di aver fatto qualcosa di buono per qualcuno? Quando abbiamo regalato un sorriso, quando una persona che amiamo appare rilassata e divertita stando con noi? Questo ci fa sentire che abbiamo qualcosa di buono da dare.
Ecco: per un bambino sapere di essere capace di far ridere la mamma è estremamente vivificante, vedere papà incuriosito dalle storie inventate nei propri giochi è fonte di orgoglio e sicurezza: credo che in questo passi molta più fiducia, rispetto e insegnamento di quanto avvenga in logoranti e quotidiane sgridate e discussioni. Veder appassionare, commuovere, emozionare i genitori per merito proprio è un’esperienza fondamentale perché un bambino abbia stima di sé, e senta di poter affrontare i problemi che la vita gli pone davanti. E bambini con una buona opinione di sé saranno meno inclini a sopraffare gli altri, a subire sopraffazioni e avranno un maggior numero di risorse cognitive ed emotive per affrontare situazioni stressanti.
La costruzione di un legame vivo, in cui un bambino/ragazzo si senta sicuro e fiducioso, è un lavoro costante in cui credo che l’adulto stesso debba mettere la sua creatività e la sua forza; in questo senso l’atto creativo di generare un figlio credo che continui per tutta la vita, nel rinnovare l’energia di quel legame al passo con le tappe dello sviluppo. Credo che questo sia anche quello che, a lungo andare, ci aiuta a sentire di avere un controllo sano sulla vita dei nostri figli, che ci possono “tenere dentro di sé” come l’immagine rassicurante di qualcuno che prima di tutto ha a cuore la loro sicurezza e il loro benessere.
Dott.ssa Elisa Accornero – psicologa e psicoterapeuta
Studio Adelaide
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